Intervista a Mohamed Hossameldin, che parla del suo cortometraggio selezionato allo Short film Corner
Sotto la terra di Mohamed Hossameldin non abitano né mostri, né streghe e non succedono fatti o vicende fuori dal comune. Sotto la sua terra si racconta una storia come tante, di un ragazzo normale, Stefano, che lavora in un garage. Ma sotto terra non è soltanto una posizione fisica, nello sviluppo del corto assume anche un valore psicologico, nel rappresentare la condizione di isolamento vissuta dal protagonista, incapace di instaurare qualunque tipo di rapporto interpersonale. Gli unici scambi di conversazione cui ha accesso sono con i suoi clienti, con i quali cerca, invano, di stabilire una relazione più profonda, che possa così dare una svolta alla sua vita, scandita dalla monotonia del lavoro quotidiano. Ma la sua condizione di invisibilità sembra ormai averlo segnato in maniera definitiva e, a ogni tentativo di emergere, Stefano viene invece respinto ancora più a fondo.
Com’è nata la tua passione per il cinema?
«Ho sempre avuto il bisogno di comunicare con gli altri e allo stesso tempo ho sempre avuto una grande passione per l’immagine cinematografica. Ho iniziato come operatore per poi capire, passo dopo passo, che il mio vero bisogno era quello di raccontare i miei pensieri e trasmetterli attraverso le immagini, con la speranza che questo possa essere un modo per far riflettere me e gli altri. È il mio sogno più grande, far riflettere le persone attraverso il mio lavoro».
Ci sono dei registi che hanno segnato il tuo percorso artistico e formativo?
«Il cinema è un mondo vasto e infinito, pieno di grandi registi, ognuno a suo modo. Difficile citare solo due o tre nomi che hanno segnato e continuano a segnare il mio percorso, ma sicuramente ci sono alcuni che si avvicinano maggiormente a me: Ingmar Bergman, Steve McQueen, Kim Ki-Duk, Michael Haneke».
Il tuo cortometraggio è stato selezionato allo Short film corner di Cannes. Cosa rappresenta per te questo successo?
«Non riesco ancora a viverlo come un successo; lo vivo più come l’inizio di un lungo percorso. È una grande soddisfazione e una conferma per il lavoro e la fatica di tutti questi anni. È sicuramente un grande incoraggiamento per andare avanti e per dare sempre di più».
Un cortometraggio radicato nel sociale che non lascia molto spazio a visioni ottimistiche. Come mai una scelta così netta?
«Io non mi sento di poter dare una risposta, che sia ottimistica o pessimistica. Il cinema che sogno di fare deve solo porci un problema: è uno specchio che riflette le difficoltà e lo fa nel dettaglio, senza scrupoli o paura, per poi lasciare la risposta all’interno dello spettatore».
In base a quali criteri sono stati selezionati gli attori?
«Sono tutti dei professionisti, con una buona esperienza alle spalle. Ma la mia scelta è stata in base alla loro vicinanza con i miei personaggi, senza andare a modificarli o crearli dal principio».
Che ruolo ha avuto l’Accademia nella realizzazione del lavoro?
«Prima di tutto l’Accademia in questi tre anni mi ha aiutato mettendo a disposizione dei docenti preparati che ci hanno seguito nella nostra crescita artistica. In più, in questo cortometraggio, è produttore associato insieme a me».
Pensi che l’esperienza di questo corto ti possa aprire nuove porte? E Cannes?
«Sicuramente la prima porta è stata lavorare con un grande artista come Daniele Ciprì, a cui devo molto. Ora sono concentrato sul mio prossimo progetto, e sicuramente Cannes sarà un bel trampolino di lancio per il futuro».