Fine arts

Pittura

Scultura e installazione

Dal panino si va in piazza

Crea più scandalo il travertino romano della realtà stessa. In un’epoca in cui nei musei e nelle grandissime collezioni abbiamo cavalli impagliati e squali immersi nella formaldeide, certo non ci aspettavamo che a fare rumore fosse una scultura classica, resa alla maniera della grande tradizione scultorea di animali romana. Opera che ha visto, appunto, degli scultori scolpire una forma e che ovviamente non ha visto né implicata l’uccisione o il maltrattamento di nessun animale. Opera basata su disegni preparatori e realizzata da mani e arnesi, e non dalla cattura di un bellissimo squalo tigre commissionata, sia pure in Australia, quello sí realmente ucciso.

Invece fa stupore una scultura che celebra la vita e la tradizione, che non fa che immortalare, a monumento, quello che quotidianamente accade, un piatto che ci nutre in tantissime caratteristiche fraschette romane, legalmente e normalmente, ogni giorno. Da anni la porchetta è il vanto e il piatto tipico di Roma, piatto povero e piatto prelibato, i cui venditori ovviamente non compiono reati, né  generano cortei, come fa un travertino.

Piatto nostrano, come la carbonara e l’amatriciana, anche questi a base di carne, per i quali non occorrevano (e non occorrono) molti ingredienti e molti soldi, nei tempi grami. Piatto che celebra la compagnia tra persone, con un bicchiere di vino e un panino. Un’immagine orizzontale che si oppone e accompagna, con la stessa forza della vita, ai verticali kebab, anch’essi ovunque per le nostre vie.

Dunque cosa colpisce e sconcerta? L’immagine-monumento della verità di ogni giorno più della verità, la celebrazione del cibo più di una reale uccisione o di un reale maltrattamento (che non c’è stato). La nostra vita e tradizione possono esistere ma non possono essere fissate in immagine da nessun artista? Può l’America celebrarsi e raccontarsi pop, ovvero popolare, di tutti con l’immagine di un panino McDonald e di una coca cola, ma noi non possiamo raccontare che veniamo dalle fraschette, vino e porchetta? Non dovremmo dire che siamo sopravvissuti con questo, che siamo vissuti, che siamo andati avanti quando tutto era difficile?

In questa opera si celebra alla maniera degli eroi antichi l’eroe della nostra storia recente, il maiale che ha reso possibile la nostra vita, storia, tradizione e sopravvivenza. Non in squallidi allevamenti, non nelle macchine industriali di grandi catene che fabbricano panini, ma nella campagna, col contadino, in quelli che sono stati sempre, e speriamo lo siano ancora i rapporti sani col cibo, non in scatola, ma reali.
Eppure la sua celebrazione genera orrore. Qualcosa non quadra.