City Branding

CORSO

Graphic Design

 

DOCENTE

Enrico Parisio

 

STUDENTI

Giuseppe Accroglianò, Sara Andronico, Claudio Antonangeli, Aurora Baiocchi, Elena Belli, Carlotta Biagioni, Sara Bonini, Raffaello Borrelli, Luca Bruni, Stefano Catino, Eleonora Chicca, Loris Cometa, Sara Corona, Domitilla Davoli, Carla De Gennaro, Edoardo De Maglie, Francesco Dori, Alessio Gennaro, Domiziano Sagnelli, Nicolo Santini Rossi, Flaminia Filigi, Gaia Formigari, Carlotta Franceschi, Giulia Gatta, Marco Genovali, Valeria Gionfra, Virginia Granata, Beatrice Greco, Valentina Guarda, Leonardo Iaia, Isabella Immediato, Francesco Paolo Incantalupo, Fabio La Gattuta, Gianluca Mazzocco, Francesca Mazzù, Letizia Micheli, Gabriele Minotti, Diego Morana, Roberto Muto, Stefano Cattani, Giulia Del Vecchio, Edoardo Nardi, Marco Nicolò, Barbara Notaro, Alice Oieni, Laura Perrucci, Silvia Santopaolo, Lorenzo Numa Sbrolli, Antonella Scardino, Giordana Scipioni, Rachele Sdoga, Sara Stipcevich, Caterina Tahan, Marco Telesca, Valerio Teti, Francesco Tricarico, Martina Villani, Rebecca Zambelli, Alessia Zappitelli, Marco Zini

 

 

Il progetto

Un progetto di city branding partecipato di un quartiere multiforme, vitale, innovativo e tradizionale allo stesso tempo. Seguendo le esperienze nord ed extra europee, un Distretto culturale evoluto si costruisce attraverso la definizione e il racconto dell’identità. Strumento indispensabile per qualificare il territorio e farlo crescere, sia dal punto dell’attrattività che della coesione sociale.

I progetti di place design ci mostrano quanto l’idea di immagine coordinata sia mutata. Dalle esperienze del modernismo degli anni sessanta (lo “stile svizzero”), segnate da un astrattismo geometrico universalizzante e funzionalista, risposta etica alla comunicazione “statuaria” cara ai nazionalismi nichilistici della seconda guerra mondiale, si passa all’international style delle grandi corporation multinazionali nel dopoguerra, che sempre si rifanno alla scuola elvetica. Dopo le rotture postmoderne nei confronti del rigorismo funzionalista, assistiamo oggi ad uno stile che abbandona l’omogeneità formale, l’identità statica e riproducibile (metafora della grande fabbrica fordista e della sua produzione omogenea di merci), e abbandona anche lo stile soggettivista compulsivo postmoderno, e gli artefatti si sforzano di veicolare sempre più concetti complessi quali resilienza, ecosistemi, community: dalle strutture gerarchiche novecentesche “ad albero”, incontriamo i rizomi decentrati post strutturalisti di deleuziana memoria, oggi quanto mai utili a rappresentare soggettività collettive, esperienze fusionali, identità relazionali, più che la vuota metafisica del soggetto postmoderno.

Di fatto i progettisti lavorano alla visualizzazione dei limiti della forma, stabiliscono quanto e come una struttura sia in grado di risultare riconoscibile allorquando è sottoposta a degli stimoli che variano di intensità nel tempo. Si lavora quindi su delle guidelines, su delle condizioni a priori da stabilire, e si abbandona il controllo puntuale delle infinite combinazioni che le variabili del sistema dinamico possono generare, senza però rassegnarsi al caos.

GUARDA IL PROGETTO DI RAFFAELLO BORRELLIGUARDA IL PROGETTO DI EDOARDO DE MAGLIE
GUARDA IL PROGETTO DI GAIA FORMIGARI, GIULIA GATTA, FRANCESCO PAOLO INCANTALUPO, FABIO LA GATTUTA, GABRIELE MINOTTIGUARDA IL PROGETTO DI ALESSIO GENNARO, VALENTINA GUARDA, VALERIA GIONFRA, BEATRICE GRECO, VIRGINIA GRANATA, ISABELLA IMMEDIATO, LEONARDO IAIA
GUARDA IL PROGETTO DI BRUNI, CATINO, COMETAGUARDA IL PROGETTO DI ALICE OIENI E STEFANO CATTANI
GUARDA IL PROGETTO DI EDOARDO NARDIGUARDA IL PROGETTO DI MARCO ZINI